Presupposto della mostra e' il
problema della trasmissione a ragazze/i, preadolescenti ed
adolescenti, della memoria di un fatto storico, tanto complesso
ed emotivamente molto forte, di fronte al quale si paventa
spesso il rischio che, superando la soglia della tolleranza
emotiva e cognitiva, possa provocare solo senso di impotenza e
rimozione.
D’altra parte e' altrettanto concreto il rischio di trovare in
questo timore l’alibi per ambigui e colpevoli silenzi, proprio
nei luoghi deputati alla trasmissione della memoria, primo fra
tutti la scuola, per lasciare spazio al ripetersi di sterili
rituali di commemorazione, rischio che diventa piu' evidente man
mano che, venendo sempre più a mancare la possibilità di
ascoltare i “testimoni”, la verità del vissuto storico può
finire con l’identificarsi con una delle sue possibili
interpretazioni.
Ferma restando l’unicita'
storica dell’esperienza della Shoah, e' proprio dalla sua
conoscenza che si puo' partire per cercare di guardare al passato
e ancor più' al presente con rinnovata capacità critica, nella
speranza che, nonostante il ripetersi degli stessi
ingiustificabili comportamenti da parte degli adulti, la storia
possa infine diventare veramente maestra di vita proprio per
ragazzi e ragazze nel periodo della loro formazione culturale ed
umana al di la' della retorica delle programmazioni scolastiche.
Si e' dunque pensato di
utilizzare una metodologia interattiva che, attraverso la
proposta del viaggio evocativo e simbolico, susciti curiosita' ed
interrogativi per stimolare interesse e quindi desiderio di
approfondire e sapere, gia' a partire dal titolo " QUI NON HO
VISTO NESSUNA FARFALLA", un verso della poesia di Pavel Freedman,
uno dei quindicimila bambini rinchiusi nel campo di Terezin,
poi mandato ad Auschwitz dove ha trovato la morte.
Il suo e' il ricordo struggente
dell'ultima, proprio l'ultima farfalla, di un giallo cosi'
intenso, cosi' assolutamente giallo, come una lacrima di sole
quando cade sopra una roccia bianca, vista fuori del ghetto. E'
il simbolo della sua infanzia negata, della liberta' perduta,
della vita stroncata da una logica assurda ed incomprensibile
agli occhi di un bambino. Come la vita di una farfalla dura un
giorno, così la sua vita durerà troppo poco per poter realizzare
i propri sogni.
Proprio seguendo il filo dei
ricordi i giovani visitatori sono invitati a ripercorrere
l'odissea dei deportati attraverso dieci ambienti tematici,
definiti "quadri", corredati da immagini, video, testimonianze,
documenti storici. L'intento è quello di uscire dal modello solo
visuale - che implica una ricezione piuttosto passiva e a volte
spettacolare - per coinvolgere direttamente i ragazzi in
attività strutturate (role-plays, simulazioni, disegni, ecc.) e
guidarli, attraverso la metafora del viaggio, a vivere
esperienze di esplorazione della memoria, le sole efficaci a
creare nuove connessioni e nuove conoscenze.
All'ingresso
i ragazzi sono accolti da un animatore e, dopo aver ricevuto un
taccuino di viaggio che li accompagnerà per tutto il percorso e
che poi porteranno con se', iniziano il "viaggio" conoscitivo in
dieci tappe: la discriminazione, la destinazione ignota, la
lingua sconosciuta, la divisa, la punizione, il freddo e la
fame, la solidarieta', la fatica e il lavoro, i ricordi, il
ritorno.
Al congedo, che vuole chiudere
in positivo il percorso, ognuno scrive ad un coetaneo in forma
anonima un messaggio su questa esperienza (una frase,
un'emozione…) per fissare e comunicare la memoria di ciò che ha
vissuto.
E' un'occasione formativa rivolta al mondo della scuola per
potenziare nei giovani la capacità di leggere diacronicamente i
fatti storici e per sperimentare nuove modalità di trasmissione
della memoria che sappiano avvicinare le generazioni per
costruire insieme forme di resistenza critica alla
discriminazione e alla violenza